Buoni Fruttiferi Postali: la danza dei tassi di interesse.
Buoni Fruttiferi Postali: focus sulla vicenda
Tra i nostri amici e parenti c’è sempre qualcuno che lamenta un problema con i buoni fruttiferi postali (BFP). Nello specifico, l’annosa vicenda legata a questi tipici prodotti di investimento finanziario riguarda in particolare quelli emessi durante l’arco temporale intercorrente tra il luglio 1986 ed il 1999.
Le incongruenze, che danno poi vita ad infinite diatribe e controversie tra i risparmiatori e Poste Italiane, si palesano nel momento in cui l’importo accumulato negli anni deve essere riscosso. Ed è qui che inizia la danza dei tassi di interesse applicabili. La Giurisprudenza in merito è molto ampia, varia, a tratti contraddittoria.
Anche la casistica affrontata dall’ABF (Arbitro Bancario Finanziario), le cui decisioni sono ben lontane dalla vincolatività dei provvedimenti giurisdizionali, è estremamente variegata ed anche in tal caso si può notare una certa discordanza tra gli orientamenti.
Tuttavia, pare che le decisioni pro-risparmiatore superino e non di poco quelle in favore di Poste Italiane.
Entrando nel merito della questione, la prassi controversa si manifesta nel prospetto degli interessi maturati a partire dalla data di emissione del Buono, indicato con una stampigliatura apposta sul retro dello stesso. Sebbene, infatti, il prospetto indichi determinati tassi crescenti in favore del possessore del buono, soprattutto dal 20° al 30° anno, Poste Italiane, all’atto della riscossione da parte dei risparmiatori, tende a rimborsare una cifra inferiore. In poche parole, Poste Italiane spesso si rifiuta di applicare le condizioni previste nella stampigliatura originaria relativamente all’intero trentennio, applicando un trattamento peggiorativo per il risparmiatore.
Perché, cosa è successo?
Il DM del 13 giugno 1986 autorizzava Poste Italiane ad emettere buoni della serie Q, continuando però ad utilizzare vecchi moduli delle serie O e P che indicavano tassi superiori ma di fatto non più applicabili. La legge consentiva a Poste Italiane di utilizzare, fino ad esaurimento, solo i buoni della serie P (e non quelli della serie O) a patto però che venissero apposti due timbri, uno sul fronte e uno sul retro. Tuttavia, la presenza di una tabella stampigliata in originale sul tergo del titolo con indicazione di rendimenti, corrispondenti alla serie P, più vantaggiosi rispetto a quelli previsti relativamente alla serie Q/P riportati sul timbro sovrapposto alla predetta tabella, ha ingenerato il legittimo affidamento del risparmiatore in merito alla volontà di poste di assicurargli, per il periodo di tempo dal 21° al 30° anno, un rendimento maggiore di quello previsto dal DM 13 giugno 1986 (che prevedeva tassi inferiori). A ciò si aggiunga la circostanza che all’interno della tabella dei suddetti buoni è possibile trovare una dicitura che “illude” ulteriormente il sottoscrittore del buono: “Dal 21° al 30° anno solare successivo a quello di emissione sarà corrisposto un interesse semplice al tasso massimo raggiunto”.
Poste Italiane può modificare unilateralmente il tasso applicabile?
Partiamo dal presupposto normativo su cui si fonda la disputa in atto, ossia il DPR n. 156 del 1973 (Codice Postale). Nello specifico, l’art. 173 del predetto decreto sanciva che le variazioni del saggio di interesse dei buoni postali fruttiferi fossero disposte con decreto del Ministero per il tesoro, di concerto con il ministro per le poste e telecomunicazioni, che avessero effetto per i buoni di nuova serie e che potessero essere estese anche a serie precedenti, con effetto retroattivo. Tale normativa è stata poi abrogata con il D. Lgs. N. 284/1999 e dal decreto ministeriale del Tesoro dell’anno successivo. Tuttavia, entrambi i provvedimenti abrogativi dell’art. 173 hanno previsto comunque che i rapporti in essere, nati sotto la predetta normativa, avrebbero continuato ad essere regolati dalle norme anteriori. In base a ciò, la pubblica amministrazione avrebbe dunque goduto del potere di variare arbitrariamente il tasso di interesse dei Buoni già emessi, semplicemente mediante la pubblicazione di un decreto ministeriale in GU, come accaduto per quelli antecedenti al luglio del 1986. Dunque, nei casi di BFP emesso prima del DM del 1986 di modifica, nonostante le condizioni d’interesse riportate a tergo del Buono stesso, il risparmiatore è vincolato a tale dato letterale, ma anche alla possibile successiva variabilità dei tassi indicati, in base ad una legge vigente dal 1973 al 2000.
E allora in quali casi si applica il tasso stampigliato sul retro del BFP?
Alla luce di quanto emerso, se il Buono Fruttifero Postale è stato sottoscritto in epoca posteriore all’emanazione di un provvedimento modificativo (come appunto il DM del 1986) delle condizioni indicate sul retro del medesimo, si applica il tasso previsto dalla tabella stampigliata. In questi casi, infatti, si crea il legittimo affidamento del sottoscrittore nella volontà dell’emittente (Poste Italiane) di assicurare un tasso di rendimento maggiore di quello previsto dai provvedimenti governativi. Nella casistica opposta, invece, e cioè quando il provvedimento ministeriale sia intervenuto dopo la sottoscrizione del Buono, prevalgono le disposizioni normative, che prevedono la variabilità dei tassi in danno dei risparmiatori (sentenza n. 3963/2019 SS.UU. Corte di Cassazione).
Per Assorimborsi
Avv. Dario Aprea